Riflessioni ex post di un attivista.
Le fiamme sul Vesuvio, temute da molti già dallo scorso inverno LEGGI si sono puntualmente presentate con il loro drammatico conto; le operazioni di spegnimento, soprattutto per quel che riguarda il lavoro a terra, sono state effettuate con notevole ritardo e in situazioni ormai, tanto avanzate, da essere, in certi casi, quasi inutili o pericolose. Solo quando gli incedi vesuviani sono diventati un caso nazionale e forse qualcosa in più, solo allora, il governo centrale, nella persona del ministro dell’Ambiente, si è degnato di recarsi sul posto per rendersi conto della situazione o magari tutelare semplicemente il presidente del Parco in difficoltà.
Non sono le ecomafie, non è il cambiamento climatico ad aver dato fuoco al Vesuvio, caro ministro Galletti, e neanche i gatti e i cani kamikaze o i presunti piromani beneventani, specchietti per le allodole da tastiera ma non per chi vive il Vesuvio e il suo Parco a 360°, ma è stata la cultura emergenziale che da sempre e in ogni contesto vige qui da noi, una cultura che sembra vivere più sul precetto scaramantico che sul buon senso organizzativo. Un atteggiamento tale da non intraprendere nessuna iniziativa programmatica che non fosse un qualcosa di esclusivamente e burocraticamente cartaceo e inattuato. Lo stato dei boschi del Parco Nazionale del Vesuvio era in completo abbandono prima di questo che consideriamo il più grande incendio che si ricordi qui di noi, e lo era anche l’anno scorso, quando la piazza d’onore spettò al rogo di Terzigno e comuni limitrofi.
Se prima nulla si faceva, non è stato certo opportuno non aver fatto nulla di concreto nell’anno intercorso tra i due eventi, soprattutto quando c’erano le istanze dei cittadini e delle associazioni a richiederlo VEDI. E non puntiamo il dito solo sull’Ente Parco, con un piano antincendio mai attuato e con protocolli d’intesa approssimativi ma anche su chi avrebbe dovuto partecipare a questa prevenzione mai partita. Parliamo ad esempio di chi avrebbe dovuto fare manutenzione e pulizia lungo le strade provinciali e comunali, vi ricordiamo infatti che l’incendio più grande dei tanti roghi divampati sul Vulcano, è scoppiato proprio in via Vesuvio ad Ercolano, strada che accoglie i turisti che vanno al Vesuvio e vera e propria discarica; bene, il rogo, incominciato tra le sterpaglie e i rifiuti del bordo strada, ha poi innescato una reazione a catena che ha distrutto praticamente tutta la riserva integrale del Parco, includendo il Tirone/Alto Vesuvio, la vegetazione di Colle Umberto, del Salvatore, Atrio del Cavallo, Fosso della Vetrana, Valle del Gigante, attraverso il bosco del Molaro fin sui Cognoli per arrivare all’amato Ciglio di Somma. Gli altri roghi, quali quelli di Terzigno, Ottaviano, Torre del Greco potrebbero aver avuto più o meno la stessa sorte e lo stesso innesco fortuito, vista la medesima e precaria situazione di partenza.
Formulare il binomio incendi = spazzatura è sbagliato, fuorviante e pericoloso. E lo è nella misura in cui si accomunano due fenomeni con distinte cause e distinte responsabilità. Gli incendi boschivi di quest’anno, così come quelli degli anni precedenti, hanno la loro natura nell’incuria e tale mancanza ha permesso a chi, colposamente o in maniera criminale, ha fatto scoccare la scintilla. Se non ci fosse stato quindi il carburante, a nulla o quasi sarebbe valsa la miccia per la sua accensione. Se i boschi vesuviani avessero avuto una corretta pulizia, vie spartifuoco e sentieri degni di questo nome, e soprattutto un efficiente servizio antincendio, tutto questo non sarebbe accaduto o, quanto meno, sarebbe stato di gran lunga ridimensionato; inutile quindi parlare di camorra, e creare un nemico immaginario come si faceva durante la guerra il nemico ce l’abbiamo dentro, il nemico siamo noi con la nostra passività!
Il collegamento degli incendi vesuviani ai roghi dei rifiuti ha un che di ideologico e non mi riferisco solo a chi, istintivamente, in simili frangenti, cerca un qualcosa o un qualcuno a cui addurre colpe e responsabilità per darsi una ragione di quanto non accetta o non capisce e di cui vede solo gli effetti, ma anche a chi vuol vedere nel fatto un complotto tra economia di mercato, il governo e chicchessia con forze oscure che regolerebbero le sorti del pianeta; sembra assurdo ma è stata una delle tante tesi esposte negli articoli che hanno girato in questi giorni.
Sta di fatto che se esistessero i controlli e un sistema civico decente, i luoghi di sversamento e di rogo non sarebbero mai esistiti e tanto meno in area parco ed è comunque bene non confondere ciò che accade nelle discariche del Parco con quanto accade nei boschi più integri della riserva naturale. Ma ciò che più inquieta è il fatto che si escluda a priori la strada che potremmo definire boschiva, ovvero insita nella natura dei boschi e delle loro condizioni, seguendo invece rigidamente la strada criminale, senza capire che nei boschi di montagna, là dove non arrivano carrozzabili, il problema rifiuti non c’è e questo dimostra, ancora una volta, quanta ignoranza ci sia sull’argomento Vesuvio.
Non parliamo quindi di ecomafie, di ecoterrorismo, di piromani, di clima e di altre leggende metropolitane perché chi conosce il contesto vesuviano, chi lo conosce realmente, sa qual è il problema e non si nasconde dietro un dito. Ci sono stati all’interno del parco roghi e vasti incendi legati alle discariche ma non hanno innescato gli incendi boschivi di questi giorni, basti ricordare il rogo di Cava Fiengo dello scorso 12 giugno LEGGI dove per tre giorni la cava e zone limitrofe hanno bruciato il loro venefico contenuto.
La macchina dei soccorsi, fin dal 5 luglio è stata in buona parte limitata agli interventi della Protezione Civile locale e dai presidi dei Vigili del fuoco che difendevano abitazioni e siti strategici e questo fino a martedì 11 allorquando si crea finalmente un DOS (Direttore Operazioni di Spegnimento) nella rotonda cosiddetta della Siesta, e dove incominciano a confluire gruppi di Protezione Civile e volontari da ogni dove. La domenica precedente i già ridotti soccorsi erano stati rallentati dal previsto, ma non imprescindibile, giro d’Italia rosa, chiudendo, durante il passaggio della gara, le uniche due vie d’accesso ai luoghi dell’incendio e dirottando parte dei volontari sul percorso della gara. Quest’atteggiamento la dice lunga sulla consapevolezza, da parte delle autorità, di ciò che stava realmente accadendo e la superficialità con cui si è agito.
Ora col clamore della cronaca tutti si indignano e si mobilitano con varie manifestazioni, sit-in e flash-mob ma mi chiedo: prima, dov’erano? Prima in quel lasso di tempo intercorso tra il luglio 2016 e il luglio 2017, dov’era chi ora organizza opportunisticamente queste mobilitazioni?
Tutto il resto è storia, folclore e speculazione, un mondo che vive in sordina nell’attesa di poter intervenire e dire la sua su cose per le quali, non solo non ha competenza o il coraggio per parlare, ma soprattutto non ha visto, non ha vissuto e non ha neanche del tutto compreso.