La cronaca della distruzione di un patrimonio ambientale e la tragedia umana di chi ha perso casa e averi, in quello che possiamo definire il più vasto incendio dal ’44 ad oggi.
Svegliarsi la mattina con l’amaro in bocca per quel che si è respirato ma soprattutto per quel che si è visto e sentito il giorno prima, e guastarsi la giornata ancor di più affacciandosi al balcone e vedere che l’inimmaginabile si stava avverando, ha un che di sfiancante e deprimente.
Il Vesuvio, da casa mia a San Sebastiano, lo si può vedere nella sua completezza a fare il paio col Somma, con il Colle del Salvatore e Colle Umberto incastonati nel verde dei boschi. Stamattina questo scenario idilliaco era offuscato dal peggiore degli incubi, un’altra nube si ergeva in direzione Torre del Greco e, mentre vi scrivo, in serata, lingue di fuoco minacciano il versante occidentale, quello che affaccia sulle mie verdi colline vulcaniche; il Fosso della Vetrana è diventato un inferno dantesco e i Cognoli di Giacca incominciano ad ardere anche loro.
Mi metto subito al telefono per chiamare Silvano, amico e compagno di avventure vesuviane, per organizzare una squadra ma non risponde, riprovo ma niente ancora; passa qualche minuto ed è lui a richiamarmi: “Ciro porta quante più persone possibile e vieni qua a Torre che le fiamme stanno accerchiando casa mia!” Rimango di stucco, non so che fare, già il mio stato d’animo non era dei migliori per il senso di impotenza che quest’evento mi procura ma devo reagire, per lui, un amico che ha partecipato in più occasioni allo spegnimento e al contenimento degli incendi a Torre come ad Ercolano.
Il tempo di mettermi qualcosa addosso e, raccogliendo due amici per strada, corriamo verso Torre. Sull’autostrada lo scenario che si dipana davanti ai nostri occhi è apocalittico e senza il timore dell’enfasi, una colonna alta decine e decine di metri si elevava a sud dei Camaldoli di Torre, proprio in direzione della casa di Silvano, le fiamme, alte, si vedono dalla strada e sono spaventose. Arriviamo verso Cappella Vecchia, superiamo un primo posto di blocco dei vigili urbani ma ci ferma definitivamente la Polizia di Stato. Lì intravediamo Silvano col padre, li salutiamo e cerchiamo di capire come essergli utili ma niente, l’espressione di fiero sconforto del mio amico non dà adito a speranze. Il padre insiste per passare e andare a vedere la sua casa, un poliziotto lo blocca ribadendogli il suo ruolo di difensore della vita umana prima di ogni cosa, ma la disputa, tra due legittimi punti di vista, si accende. Alla fine il buon senso di una volta placa gli animi e una soluzione viene finalmente trovata.
A questo punto ci facciamo da parte e decidiamo di andare ad Ercolano per ritornare a lavorare nel bosco sotto la riserva del Tirone ma decidiamo di vedere come stanno le cose all’Osservatorio. Ci bloccano però all’altezza della Siesta, dove si è creato un punto nodale da dove passano solo autobotti dei VVF, moduli e camionette della Protezione Civile provenienti da tutta la provincia ed oltre. Ci presentiamo e diamo la nostra disponibilità per dare qualsiasi tipo di aiuto e ci mettono per questo in attesa.
Nel frattempo abbiamo la malaugurata idea di mettere un post su facebook con la richiesta di volontari per arginare il fuoco, questa richiesta viene comunicata anche al Sig. D’Acunzo, referente regionale della PC; ci fa però capire che, per il momento, è meglio evitare affollamenti, vista la cospicua presenza di uomini qualificati e mezzi terrestri operanti. Purtroppo il post, condiviso da tanti amici, diviene virale e le richieste sono talmente tante da esser costretto a chiudere il mio telefonino.
Do una mano alla PC per dare un senso alla mia presenza lì e cerco di orientare i soccorsi su di una cartina fornita solo grazie all’efficiente amica Giulia, volontaria anche lei e profonda conoscitrice del Vulcano; al cospetto di tanta partecipazione di uomini e mezzi non riesco però a non considerare la disparità rispetto ai giorni precedenti, ora però mancano i mezzi aerei, solo un elicottero e un Canadair per un fronte vastissimo e che si estende sempre più e che prende oramai tutto il complesso vulcanico. Ottaviano, Somma, Ercolano, Terzigno, Boscotrecase, è un rogo continuo, un’immagine infernale degna di un quadro di Bosh.
Passate le 16:00, il piazzale della Siesta incomincia ad affollarsi, non solo di tecnici e volontari d’ogni tipo ma anche di curiosi ed animali da palcoscenico. Vista la nostra inutilità in quel contesto e rischiando di essere più di intralcio che d’aiuto, non essendo autorizzati a combattere il fuoco, decidiamo di andarcene, cercando di essere più utili a casa, cercando di fornire un’informazione meno didascalica e meno ufficialmente fantasiosa di quella alla quale stiamo da giorni assistendo.
Sulla via del ritorno il fuoco pare inseguirci e una volta arrivato e affacciatomi al balcone, noto un nuovo focolaio su via San Vito, verso il ristorante Antico Ricupo. La notte è insonne, corrono le solite voci mediatiche che tra roghi tossici, ecoterrorismo e una presunta lingua di fuoco sulla lava del 1944, ci inducono ad andare a verificare la situazione. Lo scenario è paradossale, via Panoramica a San Sebastiano è un cinema all’aperto sul grande schermo del Vesuvio in fiamme, un lince dell’esercito scorrazza per un’oretta tra via Castelluccio ad Ercolano e la nostra Panoramica ma, tutt’attorno, per fortuna, nessun segnale di fuoco.
Sui social si diffonde l’isteria, c’è chi teme che il Vesuvio si risvegli a causa degli incendi, altri promettono vendetta lapidando mediaticamente i presunti ed immaginifici esecutori di tale scempio annunciato ma tutti, praticamente, dimenticano complici e mandanti.