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Visibilità ed invisibilità del Vesuvio

10487181_862358110474490_9033002161562625406_nVenerdì sera a Piano di Sorrento si è una tenuta un’interessante conferenza sul tema della visibilità ed invisibilità del Vesuvio.

Fa un certo effetto sentir parlare di Vesuvio senza percepire sul collo il fiato del temibile vulcano. Qui nel vesuviano siamo abituati ad alzare lo sguardo e ad incrociare quello del gran cono da vicino. Una prospettiva unica e all’avviso di molti per niente invidiabile, che ci rende al contempo spettatori privilegiati quanto irresponsabili. Un cambio di punto di vista tuttavia aiuta. Guardare il Vesuvio al grandangolo fa riflettere con maggiore distacco su tematiche con cui ciascuno di noi consciamente o inconsciamente, prima o poi, fa i conti. Il Vesuvio sospeso fra visibilità ed invisibilità è l’immagine del Vulcano in chiaroscuro, presenza tangibile al tatto, estranea al pensiero. Ma il Vesuvio è davvero invisibile? Quali sono le motivazioni che nei secoli hanno spinto migliaia di persone a vivere alle sue pericolose pendici?

La conferenza è stata tenuta, nel centro culturale della deliziosa cittadina costiera, da Giovanni Gugg, antropologo che da diversi anni studia ed analizza il comportamento dell’uomo in rapporto al concetto di rischio vulcanico. Giovanni, fra il 2011 ed il 2012, ha svolto un interessante lavoro di dottorato sul territorio di San Sebastiano al Vesuvio. In tre mesi di presenza continua e costante ha raccolto testimonianze e memorie. Il frutto di queste ricerche è finito nero su bianco in una tesi che parla dei sansebastianesi e di cui, paradossalmente, i sansebastianesi sanno poco o niente. Per fortuna ci hanno pensato i carottesi e l’orgoglio di sentire il proprio territorio suscitare interesse e curiosità al di fuori dei confini locali, è innegabile.

Giovanni parte dal concetto che il Vesuvio è ovunque. L’immagine del cono a volte brullo, a volte fumante, è oggetto di attenzione da parte dei media nazionali ed internazionali. Se ne servono politici, musicisti, artisti; appare sulle locandine di famosi films e in alcune delle più straordinarie coreografie allestite dai tifosi napoletani. La carrellata di immagini è lunga e denota una ricerca attenta e minuziosa. Il Vesuvio è impresso anche nello stemma di Piano di Sorrento, unico paese non vesuviano a potersene vantare. E del resto il “formidabil monte” è parte integrante e fondamentale del paesaggio costiero, contribuendo a renderlo unico.

San Sebastiano al Vesuvio, a pensarci bene, ha addirittura un richiamo diretto al vulcano nel nome. Quel vulcano che negli anni ha più volte mutato la morfologia del suo territorio ed innescato meccanismi di selezione della memoria diventando, nonostante ciò, immancabile anche nel suo stemma e fondamenta, a volte vanto, delle sue ri-costruzioni. L’ultima eruzione del 1944 trasformò la cittadina in un Paese fantasma. La tenacia e la volontà del Sindaco Raffaele Capasso e degli abitanti di allora, lo mutarono nella Piccola Svizzera di qualche tempo fa. “Quello che trovavo interessante – racconta Giovanni introducendo San Sebastiano al Vesuvio – è il passaggio da Paese fantasma a Paese nel quale desiderare di vivere.” Cosa c’è alla base di tale trasformazione? Si trascura forse la memoria per dimenticare il pericolo? Giovanni ci assicura di no: “I Vesuviani sanno benissimo dove vivono. Sanno di vivere su un vulcano. Semplicemente non possono pensarci 24 ore al giorno, altrimenti sarebbe un non vivere.”

Giovanni spiega che ad intervenire è il meccanismo della scotomizzazione del rischio. Tale meccanismo inconscio che porta ad escludere dall’ambito della coscienza o della memoria un evento o un ricordo a contenuto sgradevole o tale da generare ansie, si presenta sotto forme diverse. La prima è l’invisibilità cognitiva: “Il vulcano non da segni di sé, non c’è nulla che ci faccia pensare al vulcano come rischio imminente”. Un altro elemento è l’onnipresenza del rischio. Uno sguardo alla mappa di sismicità della nostra penisola fornisce una percezione immediata di tale concetto. C’è poi il tempo: “Il presente reale è qualcosa che si impone e crea un tempo di suspense.” Il rischio è così accantonato, assorbito dal “tran tran” quotidiano. ” Qui entra in gioco – continua Giovanni – la differenza fra tempo profondo e tempo apparente: “Il tempo profondo è legato alla scienza: gran parte di noi sa che il vulcano ha dei tempi che non corrispondono ai tempi biologici. Il tempo eterno è un tempo più simbolico, legato al concetto della casa.” Non dimentichiamoci infine che il Vesuvio è il vulcano più monitorato al mondo, elemento che contribuisce ad allontanare ulteriormente le paure: “Posso scotomizzare tanto poi ci avvertono, abbiamo il tempo di scappare.”

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